domenica 1 novembre 2015

Il dottor morte: colpevole di non meno di 200 morti

Da Radio Deejai dal programma Dee Giallo di Carlo Lucarelli





Questa è la storia di un dottore che teoricamente dovrebbe curare le persone , invece fa qualcos'altro, perché questa è la storia del dottor Harold Shipman.
Il dottor Shipman è un giovane medico generico che lavora in un ambulatorio nello Yorkshire, è un bel tipo sempre molto elegante, un membro rispettato di quella piccola comunità della campagna inglese a cui contribuisce con una numerosa famiglia.
Ogni tanto c'è qualche problema il dottor Shipman se ne sta un po' sulle sue, è una persona cordiale ma formale, anche se con i colleghi qualche volta litiga soprattutto quando non sono d'accordo con lui, su una diagnosi, su una cura o sul modo di gestire l'ambulatorio lui gli fa capire che loro sbagliano e lui ha ragione per un semplice motivo, lui è più intelligente di lui e gli altri sono stupidi.
Nonostante la sua arroganza, come medico è bravo anche se ha avuto qualche problema come quelli alla Leeds University, dove dopo essere stato bocciato il primo anno si è messo a studiare come un pazzo e si è laureato a pieni voti.
La signora Shipman ci teneva a vedere suo figlio laureato. Gli Shipman sono una modesta famiglia di operai, la signora Vera ci teneva a certe apparenze, sceglieva con cura anche le amicizie del figlio, ragazzi all'altezza di Harold che è sempre ben vestito ben pettinato un ragazzo modello.
C'è però un di tempo che c'è qualcosa che non va Harold è un po' tempo che è appannato e addirittura qualche volta sviene ai suo colleghi preoccupati dirà che è epilessia, però qualcos'altro non torna la signorina Walker che periodicamente va in ospedale per controllare il registro degli stupefacenti si accorge che da quando c'è il dottor Shipman il consumo di morfina è notevolmente aumentato, tutto regolare registrato da prescrizioni mediche, ma prescritte a persone che la morfina non la prendono.
Il dottor Shipman prima nega, poi ammette si è vero rubava la morfina, quindi prima viene licenziato e poi deve frequentare un corso di riabilitazione per tossicodipendenti, per quello è il dottore un tossico oppure no ?
Il primo incontro con la morfina Shipman, lo ha quando è ancora è il giovane Harold e vive con la madre, con lei ha un rapporto molto stretto. La madre lo ha scelto come il figlio modello, il preferito rispetto agli altri due sceglie per lui le amicizie lo sprona negli studi vuole il massimo da lui.
Poi succede che la signora Vera si ammala , le scoprono un tumore ai polmoni in fase terminale. Con il progredire della malattia Harold diventa un sostegno per la madre appena uscito da scuola torna dalla madre le prepara una tazza di the e si siede a parlare di fianco a lei.
Harold rimane affascinato da come la morfina può alleviare il dolore e restituire una madre ancora presente, alla sua morte lascia un vuoto incolmabile nel figlio.
Rimane però scolpita nella mente del giovane diciassettenne l'immagine della paziente con affianco una tazza di thè che riesce a trovare sollievo in una dose di morfina.
Nel 1977 Shipman convince la commissione competente di essersi pienamente dissintossicato e di poter riprendere a pieno la professione di medico si trasferisce a Hyde nel nord dell'Inghilterra con la sua famiglia al completo
Tutto tranquillo tutto come prima, il dottor Shipman sembra aver imparato la lezione sia per quanto riguardo la droga sia per quanto riguarda i rapporti umani infatti adesso è più simpatico.
C'è però qualcosa di strano un impresa di pompe funebri nota un incremento del lavoro e molto di questo lavoro viene procurato dal dottor Shipman, un altra stranezza è che tutti i defunti vengono trovati vestiti di tutto punto spesso su una sedia con una tazza di thè vicino, invece che con una camicia come i soliti malati.
Il signor Massay della ditta di pompe funebri è preoccupato, prenota una visita con il dottore per chiarire i suoi dubbi, Harold è tranquillo fa vedere i registri dei decessi  e spiega che le morti  sono avvenute tutte per causa natural, e si rende disponibile per chiunque voglia effettuare un controllo.
Viene però informata la polizia che con discrezione indaga e scopre che le terapie del dottor Shipman concordano con quanto scritto nei suoi registri, quindi niente di strano.
Continua ad esercitare quindi la sua professione per tanti, tantissimi anni fino al 1998.
La signora Catlyn è una arzilla vecchietta di 81 anni molto conosciuta nella sua comunità, poi all'improvviso nel giugno del 1998 muore. Gli amici l'avevano trovata sdraiata sul divano vestita di tutto punto morta, allora avevano chiamato il suo medico curante, questo professionista cosi bravo e cosi gentile cosi rispettabile, il dottor Shipman.
Il dottor Shipman arriva esamina la signora e stila un rapporto di morte naturale, dice che l'aveva visitata poche ore prima e quello che successo si spiega perfettamente con le sue condizioni di salute.
La figlia Angela dopo il funerale torna a Manchester, dove riceve la telefonata preoccupata del suo procuratore, che afferma di aver una copia del testamento di sua madre, Angela aveva già visto il testamento firmato dall'anziana signora anni prima, ma quello che il procuratore gli presenta è diverso è un foglio scritto con parole povere, battute a macchina, anche male, ma soprattutto c'è una bella somma per una persona che non è di famiglia, il suo medico curante il dottor Shipman.
Si sa le signore anziane sono volubile e ci può stare che abbiano lasciato un bel po di denaro a chi gli è stato vicino negli ultimi anni, però risulta strano lo stesso e Angela va dalla polizia.
Il detective concorda con lei che tutto questo è un po strano e il passo successivo e riesumare il cadavere della signora Catlyn.
In attesa dei risultati la polizia ispeziona lo studio del dottor Shipman e trova una macchina da scrivere portatile che risulta essere usata per scrivere il falso testamento. Harold ha una spiegazione si è vero la macchina da scrivere è la sua ed è quella usata per scrivere il testamento, lui l'aveva prestata alla signora Catlyn per scrivere il testamento, però poi arrivano i risultati delle analisi. La causa della morte della signora Catlyn è stata un overdose di morfina, il dottor Shipman ammette si è vero la causa del decesso è un overdose di morfina, infatti era una tossicodipendente.
Non ci crede nessuno, la polizia inizia ad esaminare tutti i pazienti del dottor Shipman che sono deceduti, soprattutto quelli tutti vestiti seduti su una sedia e con accanto una tazza di thè.
I risultati della polizia sono sorprendenti Harold avrebbe assassinato non meno di 215 dei suoi pazienti, 171 donne e 44 uomini di età compresa dai 41 ai 93 anni dal 1978 al 1998.
Il 5 ottobre 1999 nel tribunale di Preston si apre il dibattimento al dottor Shipman, Harold non mostra alcuna collaborazione, ne suscita simpatia per il suo comportamento arrogante e superbo. L'avvocato di Harold tenta di dare una buona immagine di Harold come un medico di vecchio stampo con una famiglia felice con una moglie e quattro figli. Ma non basta il 31 gennaio del 2000 viene raggiunto un verdetto unanime Harold Shipman viene riconosciuto colpevole di 15 omicidi dei quali sono emerse prove inconfutabili e condannato al carcere a vita per 15 volte. Ciascuna delle vittime era vostro paziente dice il giudice emettendo la sentenza li avete assassinati con calma e sangue freddo per la perversione delle vostre competenze mediche e la vostra malvagità per propositi immorali giustizia impone che io esponga il mio giudizio al termine del processo la mia raccomandazione è che voi passiate la fine dei vostri giorni in carcere.


venerdì 16 ottobre 2015

Lo scambio dei fratelli di Bogotà

trad. da new york times

L INIZIO

Un sabato durante l'estate del 2013, due donne piuttosto giovani in cerca di costole di maiale per un barbecue: Janeth Páez e la sua amica Laura Vega Garzón  che ha vissuto nel nord di Bogotá. Il cugino del fidanzato di Janeth, William, un giovane ragazzo  con un accento di campagna , lavora dietro il banco di una macelleria. Janeth era sicura che lei e Laura avrebbero trovato ciò che cercavano.

Mentre Laura entrò nel negozio di alimentari,  fu sorpresa di individuare qualcuno che conosceva. '' E 'Jorge!' ', Ha detto  '' Lavora nel mio ufficio. '' Era un ragazzo ben voluto di 24 anni, che ha lavorato la progettazione di tubi per il trasporto di petrolio.

'' Oh, no, questo è William, ''  disse Janeth . William era un gran lavoratore e raramente lasciava il banco della macelleria.

' No, è Jorge - Lo conosco '', ha detto Laura. Ma lui non sorrideva di rimando, il che era strano. Pochi minuti dopo, venuto fuori da dietro il bancone  abbracciando Janeth.  Lei lo presentò a Laura come William.


Il seguente Lunedi in ufficio Laura parla con Jorge del suo incontro con il suo doppio al banco macelleria. Jorge rise e le disse che aveva un gemello, di nome Carlos, ma che non gli somigliava molto.


LA FOTO, LA VERITA'


Un mese dopo Janeth andando nell'ufficio di Laura per una possibilità di lavoro nella redazione vede Jorge, e capisce la confusione che era nata nella testa di Laura quel giorno in macelleria. I due avevano gli stessi  occhi castani. Stesso rimbalzante modo di camminare . Stesso sorriso luminoso.

Per mesi Janeth si chiese se doveva parlare a Jorge del suo doppio, e si decise il il 9 settembre 2014 quando mandò un messaggio a Laura con la foto di William per farla vedere a Jorge.

Jorge davanti la foto esclamò "Sono io" giurando fissando l'immagine.


Non riusciva a smettere di guardare il telefono di Laura.

 Si sedette con Laura in cucina, ufficio in modo da poter parlare. Forse suo padre, che non è mai stato più di un visitatore occasionale a casa loro, ha avuto un altro figlio che non ha mai menzionato. Jorge ha cominciato a sfogliare  immagini di Facebook di William, ora sul suo proprio telefono. Guardò l'immagine di William a fianco di un suo amico.

 Cliccò ancora una volta sulla foto di William . Ora che l'immagine era grande, avrebbe potuto esaminare ciò che non era riuscito a vedere. L'amico seduto accanto al suo letto aveva una faccia che Jorge conosceva meglio della sua era il volto di suo fratello gemello, Carlos.

JORGE E CARLOS

Dopo il lavoro , Jorge andò come al solito alla piccola università notturna, a guardare per tutto il tempo le immagini sul suo telefono. Dopo la lezione, ha preso un autobus per casa, dove pensava di raccontare a Carlos gli eventi della giornata.

Da piccolo Jorge era il fratello che copiava i compiti di Carlos, ora entrambi avevano presso la propria strada. Carlos ha lavorato presso uno studio commercialista durante il giorno ed è riuscito la laurearsi studiando di notte.

Mentre tornava a casa in autobus, Jorge pensava a cosa avrebbe detto esattamente a Carlos.

A casa, Jorge trovò suo fratello a telefono, come di consueto, con una donna. Jorge gli fa segno di riagganciare.

'' Smettila di infastidirmi , ''  disse Carlos . Questa era la loro dinamica.

Dopo che ebbe terminato la sua chiamata, Jorge decise di mantenere un tono scherzoso '' Cosa diresti se dico che ho un gemello ? '' Carlos non sembrava divertito.

Jorge ha provato di nuovo: '' Credi nelle telenovelas? ''

Carlos stava perdendo la pazienza. Se Jorge aveva qualcosa da dirgli, poteva farlo subito. Jorge iniziò a far scorrere sul suo pc alcune foto di William con la maglia della Colombia e altre in macelleria. Carlos rise per la strana somiglianza. Poi Jorge mostrò a Carlos il suo doppio.

A differenza di Jorge, Carlos era furioso " Chi sono? " chiese.







Jorge gli raccontò tutto quello che era successo e quello che aveva saputo da Janeth e Laura. I due sono cresciuti in una fattoria al nord della Colombia e secondo facebook sono nati anche loro alla fine del dicembre del 1988.



 Jorge ipotizzo che forse vi era stato uno scambio in ospedale - un infermiere che accidentalmente scambiato un bambino da una coppia di gemelli identici con un bambino da un altro paio. Entrambi sapevano: che se ci fosse stato accidentalmente  qualcuno posizionato nella loro famiglia, era quasi certamente Carlos.


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articolo completo e in lingua originale 







domenica 6 settembre 2015

Ho visto morire la mia padrona

Da "Il rifugio dei cuori solitari" di Lucy Dillon




Oggi è stato un giorno triste al rifugio. Tre nuovi cani scaricati davanti al cancello: uno spaniel matto, un barboncino rognoso e un terrier con un nastro  rosso e i denti guasti. Megan li ha portati dentro, ma hanno ululato tutto il giorno per i padroni, spargendo infelicità intorno a sè  come pulci. Hanno spinto tutti a uggiolare, persino i veterani che sanno il fatto loro, qui.
Hanno leggermente scombussolato persino me.
Dot li ha tranquillizzati, però. Ha tranquillizzato migliaia di cani nella sua cucina; sa come tenerli per la collottola e dire le frasi adatte. Una bella e lunga passeggiata, un pasto sostanzioso, e si ambientano in un battibaleno. Lei piazza addirittura vecchie poltrone nei recinti in modo da ricreare l'atmosfera di casa per gli animali che un tempo dormivano sul divano. Ma ogni sera, persino in giornate come questa, quando gli altri cani hanno mangiato e si trovano nei rispettivi recinti, Dot si infila gli stivali e mi strizza l'occhio, e io trotterello fino alla porta sul retro. Dot e io ci godiamo quest'ora speciale insieme sin dai tempi in cui ero cucciolo, quando mi infilava nella tasca del suo giaccone Barbour e i suoi capelli erano neri, non grigi. Saliamo nel frutteto, dove lei fa i suoi esercizi per il braccio: lancia la pallina e io gliela riporto così può lanciarla di nuovo.
Parla, ma a sè stessa, non a me. Quando vuole rivolgersi a me, mi guarda con quegli occhi acuti, un pò simile a un collie anche lei, e io so esattamente cosa vuole che faccia. Ci capiamo senza bisogno di parole, io e Dot.
Stasera non sta parlando e non sta lanciando la pallina molto lontano. Sembra stanca. Io impiego più tempo del solito per riportargliela, per darle l'opportunità di riprendere fiato, e non le mordicchio i talloni per metterle fretta, pur fremendo dalla voglia di farlo.
Lancia la pallina ancora una volta, non molto lontano, ma mentre vado a riprenderla sento qualcosa risalire la collina e mi si drizza il pelo. Non è un cane o un essere umano, ma qualcosa di oscuro che sfreccia nell'aria serale. Come pioggia, o il panico che i cani randagi portano con sè.
Vorrei che fossimo al chiuso,accanto alla stufa Aga, sulle nostre poltrone.
Ma siamo qui fuori insieme, e il mio compito è quello di rimanere con lei.
Dot mi chiama e, mentre sto tornando indietro di corsa con la pallina, barcolla e cade a terra. Corro da lei ma il suo volto è inespressivo e mentre le sto leccando le mani e il naso per svegliarla mi accorgo che l'oscurità è vicina, adesso, tutt'intorno  noi.
Le sue palpebre tremolano e Dot guarda su, una sola volta, e vedo cosi tanto amore sul suo viso, e poi ecco che se ne è andata, scivolando via da me.
Mi stendo sulle sue gambe e ululo, un suono che non ho mai emesso prima. Ora so cosa provano gli altri cani quando piangono notte dopo notte affinchè i loro padroni li trovino, non capendo perchè sono stati lasciati soli. Io non sono mai stato un cane abbandonato, pur avendo vissuto in un rifugio per cani abbandonati. Sono sempre stato di Dot. Ma adesso mi sento perso e solo.

sabato 8 agosto 2015

I confini del confino

Da "Il taccuino di Ventotene" testi di Manlio Calegari

A Ventotene i confinati avevano licenza di movimento solo in uno spazio esiguo che comprendeva le strade del centro: Muraglione, Granili, Piazza Chiesa, Via Roma, piazza Castello, Olivi fino all'incrocio detto Madonnina e solo nell'ultimo periodo fu aperto il tratto della Via Nuova che conduce a Via Calanave. La superficie dell'isola, 2 kmq, riservato ai confinati era circa un decimo del totale. Su questo territorio, alla fine degli anni Trenta, si muovevano (durante il giorno) circa 800 confinati per una vigilanza interna allo scopo di meglio individuare eventuali contatti tra confinati e isolani.



immagine di Serena Bonadonna

Isolani, confinati, militi e poliziotti erano le tre popolazioni dell'isola che non si mescolavano né si confondevano mai. Entravano però in contatto quotidianamente. Gli isolani erano il riferimento necessario alla loro vita materiale sia che servizi, lavoro o prodotti artigianali. Rapporti non facili essendo vietata ogni relazione non connessa alla vita materiale: niente visite, conversazioni o relazioni di altro tipo.
A sorvegliare i confinati sull'isola, oltre a due motoscafi della polizia, armati e con 5 uomini di equipaggio ciascuno, da carabinieri, agenti di PS e uomini della Milizia in continuo aumento a partire dal 1930 e raggiunse attorno al 1940 il numero di 180 militi, 60 agenti di PS e 30 carabinieri oltre a un plotone di soldati della marina addetto alla vigilanza costiera.





IL CONFINATO DOVEVA:

1. darsi a stabile occupazione;

2. non allontanarsi della zona urbana delimitata dalle apposite tabelle;

3. non cambiare l'alloggio avuto assegnato e non prendere in affitto qualsiasi tipo di locale
 senza preventiva autorizzazione della direzione.

4.non ritirarsi la sera più tardi e non uscire la mattina più presto dell'orario stabilito

5.non detenere né portare armi

6.non detenere né usare apparecchi radio o di comunicazione

7.non detenere attrezzature per la riproduzione meccanica o chimica o fotografica

8. non tenere relazioni con donne a scopo di "tresca"

9.tenere buona condotta; non questionare e non dar luogo a comportamenti sospetti:

10. non frequentare osterie o pubblici esercizi;

11.non frequentare pubbliche riunioni o trattenimenti pubblici ne processioni ecclesiastiche o civili;

12.non formare assembramenti in luoghi pubblici, non tenere riunioni private o conferenze;

13. presentarsi al direttore della colonia il primo di ogni mese e rispondere ad ogni convocazione del medesimo;

14. portare sempre addosso la carta di permanenza ed esibirla ad ogni eventuale richiesta;

15.non costituire né esercitare mense fra confinati senza preventiva autorizzazione;

16. non giocare d'azzardo né partecipare a o raccolte di fondi o oggetti tra confinati;

17. non dare denaro a usura;

18. non vendere o barattare o pigionare beni o vestiario fornito dall'amministrazione;

19. non far rumore durante le ore di riposo

20. non imbrattare muri o vestiario dell'Amministrazione;

21. non discutere di politica né fare propaganda politica;

22.non scrivere o ricevere corrispondenza o pacchi di qualsiasi genere se non tramite l'amministrazione

23. non tenere presso di sé somme di denaro superiori- a giudizio insindacabile del direttore della Colonia- ai bisogni ordinari

24. presentarsi tutti i giorni al posti di Polizia in piazza Castello alle ore 13 in autunno e inverno e alle ore 11 in primavera ed estate

25. osservare tutte le prescrizioni eventualmente imposte dal direttore della Colonia.

sabato 25 luglio 2015

VI CONSIGLIO DI LEGGERE UN LIBRO SBAGLIATO: CRUM


                                                                             

                                                                                                                                                                                                                                                                                  

                  "Quando tutti gli addii 
                    sono stati pronunciati
                    voglio essere colui che se ne va
                    e sarà bello essere andati."                                                                                           
                                                                                        
                                                                    


                   "Il futuro era una nave tutta d'oro che noi                                                                                                     pregavamo ci portasse via lontano"




Ci si potrebbe chiedere in che modo un libro possa essere definito sbagliato.
Se significasse trovare pagine e pagine di ridicolissimi refusi, Crum sarebbe un libro sbagliato.
Se significasse essere accusato di diffamazione e contenuti osceni, Crum sarebbe un libro sbagliato.
Se significasse offrire una vista impietosa sulla miseria umana e concedere al pubblico la possibilità di affezionarvisi, Crum sarebbe senza dubbio un libro sbagliato.
Assodato questo, non mi rimane che raccontarvi come sia possibile che reperire un libro semisconosciuto, di una piccola casa editrice e dalle parole ortograficamente sospette sia una scelta giusta.

Potrei iniziare dicendovi che Crum è un libro scritto per tutti coloro che da sempre hanno saputo di non poter restare. E forse non vi è cosa più certa.
Quindi poco importa che il protagonista sia un orfano di nome Jesse Stone, che viva in una minuscola cittadina del West Virginia (Crum, appunto) e che ami passeggiare nei boschi o commettere azioni ai limiti del buonsenso.
Quello che invece conta è che, non appena si chiudono gli occhi, ci si ritrova per un attimo stesi in un pagliaio accanto a lui.
L'odore secco di sudore e sporcizia, l'idea di non sapere dove andare, ma di non poter rimanere, la consapevolezza di doversi buttare nel vuoto pur di essere qualcosa in più del mero, ineluttabile ripetersi di un destino vuoto.
Poiché sa che ogni uomo merita il privilegio della possibilità e l'onere della responsabilità nella propria vita, il lettore desidera intensamente che Jesse scappi.
Ma contemporaneamente qualcosa di straordinario accade.
Lee Maynard non si accontenta di mostrarci l'ennesima parabola eroica di un ragazzo dalle umili origini. Lee Maynard ci fa innamorare di quello che l'eroe sta per perdere.
In un intenso, accattivante e onesto omaggio a ciò che non può essere trattenuto, Crum mostra come sia spontaneo passare un'intera giovinezza a biasimare il luogo in cui si abita, ma quanto sia altrettanto difficile abbandonarlo.

Cosa potrebbe mai esserci di conveniente in un luogo ricco di figure che hanno rinunciato alla bellezza e alla felicità? Perché aver paura di non riuscire a lasciare quella lunga sfilata di anime spezzate e abbrutite?

Jesse non ha motivi per restare, eppure prima di andarsene trova Crum incredibilmente bella.
Così scappa in modo frettoloso, indecoroso, vigliacco.
Come Orfeo sa di non potersi voltare, perché la morte che corrode l'anima di Crum potrebbe incatenare anche lui. E perché qualcosa, qualsiasi cosa potrebbe trattenerlo.
I volti miserabili degli adulti, la noia, i boschi che hanno tenuto compagnia alla sua solitudine, gli zii, il seno di Yvonne, le mani sempre nei pantaloni di Benny, il fiume, la capanna in cui progettava la fuga, gli amici di una vita. Qualsiasi cosa.

E' il canto delle sirene, prima di ogni addio.
Ma è questo il segreto del libro: lo sentirete anche voi.



"Tutto quello che sapevo era che avevo appena tagliato un cordone ombelicale e avevo usato un coltello arrugginito per farlo."




                                         Di  Gloria Basanisi

giovedì 23 luglio 2015

Bande di delfini per il mare

trad. da BBC Nature.

Male dolphins in Shark Bay, Australia
 

I maschi dei delfini tursiopi, stringono alleanze simili a bande per sorvegliare le femmine da altri gruppi.

Un team ha studiato i delfini nella Shark Bay, in Australia occidentale, hanno osservato che gli animali che vagano per centinaia di chilometri formano diversi gruppi.

I ricercatori hanno osservato i delfini  per un periodo di cinque anni, registrando i loro movimenti.

Il dottor Richard Connor è un ricercatore degli Stati Uniti che ha preso parte a questo studio, ha iniziato i suoi studi dei delfini Shark Bay nei primi anni 1980.

Questo ultimo studio rivela come i delfini vivono in una società aperta. Connor ha infatti riconosciuto diversi livelli di alleanza nei gruppi sociali di questi mammiferi.

Quando i gruppi di delfini nei loro viaggi incontrano gruppi stranieri devono decidere come comunicare con loro. Per Questo formano tre diversi tipi di alleanza.

Il primo è formato da  coppie o terzetti che lavorano insieme per catturare e radunare le femmine fertili. Questo tipo di alleanza può durare per più di un mese.

In una "alleanza di secondo ordine", gli animali formano "squadre" tra quattro e quattordici maschi che attaccano contro altri gruppi per prendere le loro femmine.

In un terzo livello, i delfini hanno "relazioni amichevoli" tra  squadre più grandi; si uniscono le forze per formare gruppi più numerosi,  per difendere insieme le loro femmine da altri gruppi aggressivi.

Shark Bay dolphins

Il dottor Connor ha spiegato a BBC Sport che gli animali hanno bisogno di essere "incredibilmente intelligenti" per riuscire a capire se i gruppi che incontrano possono essere alleati o nemici, e stipulare alleanze o difendersi da essi.

sabato 18 luglio 2015

Come sudano i cani

La lingua che penzola giù dalla sua bocca, con delle goccioline che pian piano toccano il terreno sotto di lui, il respiro affannato che viene da un angolo all'ombra, è lo spettacolo che ci regalano i nostri pelosi ogni estate.

I cani come altri animali soffrono eccessivamente il caldo:








I cani dopo uno sforzo fisico, avendo consumato ossigeno per portare a termine un azione, risentono di un aumento della temperatura corporea. Il respirare affannosamente fa si che il cane recuperi ossigeno e che il cuore si regolarizzi.





Mentre negli esseri umani la regolazione della temperatura corporea è compito della sudorazione mentre nei cani è limitata poiché avviene solo nei cuscinetti plantari. Dalle zampe i cani disperdono il vapore cosi da ristabilire la temperatura.




Disegni di Serena Bonadonna

giovedì 16 luglio 2015

L'aria di Cuzco dopo la conquista

Da "Inés dell'anima mia" di Isabel Allende



Girai per le strade di Cuzco strabiliata, scrutando la gente. Quei visi cuprei non sorridevano mai e non mi guardavano negli occhi. Cercavo di immaginarmi le loro vite prima del nostro arrivo, quando per quelle strade passeggiavano intere famiglie con i loro vistosi abiti colorati, sacerdoti con pettorine d'oro, il sovrano carico di gioielli, trasportato su una portantina d'oro decorata con piume di uccelli favolosi, accompagnato dai musicisti, dai boriosi guerrieri e dall'interminabile seguito di spose  e vergini del Sole.Quella complessa cultura sopravviveva quasi intatta, nonostante l'invasione; era solo meno visibile. Sul trono, tenuto come prigioniero di lusso da Francisco Pizarro, c'era un sovrano che non vidi mai perchè non ebbi accesso alla sua corte reclusa. Per le strade si aggirava il popolo, numeroso e silenzioso. Per ogni barbuto europeo si contavano centinaia di indigeni glabri. Gli spagnoli, alteri e rumorosi, vivevano dentro un'altra dimensione, come se i nativi fossero invisibili, semplici ombre nelle anguste stradine di pietra. Gli indigeni cedevano il passo agli stranieri che li avevano sconfitti, ma mantenevano i loro usi, le credenze e le gerarchie, nella speranza di potersi liberare dai barbuti con il tempo e la pazienza. Non potevano concepire l'idea che costoro sarebbero rimasti per sempre.



A quell'epoca si era placata la violenza fratricida che aveva diviso gli spagnoli ai tempi di Diego de Almagro. A Cuzco la vita ricominciava a un ritmo lento, perchè molto era il rancore accumulato e gli animi si scaldavano con facilità. I soldati erano ancora irrequieti a causa della spietata guerra civile, il paese era impoverito e disordinato, gli indios erano costretti a lavori forzati. Il nostro imperatore Carlo V aveva ordinato attraverso i documenti reali di trattare i nativi con rispetto, di evangelizzarli e civilizzarli con l'esempio di una vita corretta e con opere buone, ma la realtà era ben diversa. L'imperatore che non aveva mai calpestato il suolo del Nuovo Mondo, dettava le sue assennate leggi nei bui saloni di palazzi molto antichi, a migliaia di leghe di distanza dai paesi che governava, e non teneva presente l'insaziabile avidità dell'uomo. Pochissimi spagnoli rispettavano tali ordinanze e meno che mai il marchese governatore, Francisco Pizarro. Persino il più misero spagnolo aveva indios al suo servizio e i ricchi encomenderos, i proprietari fondiari, ne avevano a centinaia perchè nulla valeva possedere terre e miniere senza braccia da lavoro. Gli indios obbedivano sotto la frusta dei sorveglianti, anche se alcuni preferivano dare una morte pietosa ai propri famigliari e poi suicidarsi.


giovedì 9 luglio 2015

Il fotografo dell'oceano: Brian Skerry

Brian Skerry è un fotoreporter specializzato in fauna marina e ambienti subacquei. Dal 1998 è stato fotografo a per il National Geographic .


Brian è riconosciuto in tutto il mondo per il suo senso estetico così come per la sua rilevanza giornalistica . Le sue immagini  raccontano storie che non solo celebrano il mistero e la bellezza del mare, ma anche aiutano a portare l'attenzione sul gran numero di problemi che mettono a rischio i nostri oceani e dei suoi abitanti.

Unica è la capacità di Brian di affrontare le grandi diversità dei luoghi in cui si trova. Nello stesso anno può passare in ambienti di estremo contrasto da barriere coralline tropicali a immersioni sotto il ghiaccio polare. Per scattare le sue foto ha vissuto mesi in mare viaggiando su qualsiasi mezzo da motoslitte a canoe compreso un dirigibile. Negli ultimi trent'anni ha trascorso più di 10.000 ore sott'acqua.

Per il National Geographic ha raccontato molte storie, tra cui la lotta della foca della Groelandia, le ultime barriere coralline incontaminate del pianeta, la situazioni di tartarughe, squali delle Bahamas...


Brian ha lavorato  in riviste come  Sports Illustrated, US News and World Report, BBC Wildlife, GEO, Smithsonian, Playboy, Esquire, Audubon . E' anche l'autore / fotografo di cinque libri. La sua ultima monografia Ocean Soul, è stato rilasciato alla fine del 2011 e continua a ricevere consensi in tutto il mondo.


Avvicinamento ad una balena nelle isole Auckland.











Galleria completa sul sito ufficiale di Brian Skerry

giovedì 2 luglio 2015

Il primo studio sulla comunicazione animale

1- Darwin

Il primo studio sistematico sulla comunicazione animale risale a Charles Darwin (1809-1882). Nel 1859 Darwin aveva pubblicato "L'origine della specie", l'opera rivoluzionaria in cui esponeva la teoria biologica dell'evoluzione. A poco più di dieci anni di distanza, nel 1872 usci "l'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali". Mettendo assieme osservazioni personali, racconti di guardiani di zoo, resoconti di esploratori e missionari, Darwin portava avanti un'analisi accurata di come comunicano le emozioni gli animali e gli uomini. L'impostazione di fondo era già quella dell'etologia, che sarebbe nata solo nella prima metà del'900: l'espressione delle emozioni veniva inquadrata nell'evoluzione, di ciascun segnale si cercava di capire il significato funzionale nell'adattamento all'ambiente.
Lo studio di Darwin è pioneristico. Suggerisce però l'idea che gli animali comunichino essenzialmente per esprimere emozioni, cioè per manifestare all'esterno stati interiori di rabbia, paura, dolore, gioia, sorpresa, ecc. In realtà le ricerche successive hanno mostrato che la comunicazione animale è molto complessa ed ha un'incredibile varietà di contenuti e di modalità.

2-Le api e le fonti di cibo




Il primo poderoso lavoro sperimentale sulla comunicazione animale si devo allo zoologo austriaco Karl von Frisch.
Una colonia di api domestiche è formata da alcune decine di migliaia di individui, la maggior parte dei quali sono operaie che passano il tempo a raccogliere nettare e polline tutt'intorno all'alveare su una superficie di circa 100 chilometri quadrati. Queste api setacciano il territorio con grande efficienza, tanto che in un anno riescono a raccogliere, tra polline e nettare, una cinquantina di chilogrammi di materiale nutritizio. Le api difficilmente potrebbero raggiungere un risultato simile procedendo a caso. E' stato calcolato che solo per trasportare il materiale raccolto occorrono oltre quattro milioni di viaggi di circa quattro chilometri ciascuno. Se ai viaggi fruttuosi dovessero aggiungersene troppi a vuoto, l'impresa risulterebbe impossibile. Le api riescono perché hanno un sistema di perlustrazione del territorio che rende più efficiente la raccolta di cibo: alcune operaie - dette bottinatrici- vanno in esplorazione a individuare fonti di cibo e, tornate all'alveare, reclutano altre api per la raccolta. Per reclutare altre la bottinatrice in qualche modo deve metterle al corrente dell'avvistamento. Ma come comunica? E di che cosa informa esattamente le altre ?
Per chiarire come e che cosa comunicano le bottinatrici von Frisch condusse una serie di esperimenti nei quali collocava a una certa distanza dell'alveare ciotole con soluzioni zuccherine, quando arrivava una bottinatrice con una macchiolina di colore e poi la seguiva e poi la seguiva per andare a vedere che cosa accadeva nell'alveare al suo ritorno. Ha scoperto cosi che le api utilizzano due sistemi di comunicazione.
Se la fonte è vicina, la bottinatrice esegue la danza circolare: gira ripetutamente in cerchio ora in senso orario, ora in senso antiorario. Il tipico movimento circolare indica che il cibo è vicino e l'intensità della danza segnala quanto è ricca la fonte. Nell'alveare è buio e le altre api non vedono la danza, ma seguendo da vicino la bottinatrice possono ricostruire il percorso che fa e avvertire dalle vibrazioni il vigore con cui danza. La bottinatrice offre anche alle compagne un assaggio, dal quale si può riconoscere il tipo di cibo, e ha addosso l'odore dei fiori dove ha trovato il cibo, cosa che può aiutare a rintracciare il posto. Siccome la fonte è vicina, non occorrono indicazioni più precise circa la sua collocazione: uscite dall'alveare, le api reclutate la raggiungono senza difficoltà. Le più esperte, regolandosi in base all'assaggio e all'odore dei fiori, vanno dritte verso il posto avvistato. Le meno esperte si accodano alle più esperte.
Quando la fonte è lontana, l'ape bottinatrice ricorre alla danza dell'addome, che fornisce informazioni dettagliate sulla direzione da prendere e sulla distanza da percorrere. Percorrendo il tratto rettilineo indica la direzione. L'ape scodinzola vistosamente. Quando l'ape danza fuori dell'alveare prende come riferimento la direzione del sole. Quando, come di regola, la danza si svolge su una parete dentro l'alveare, la linea del sole è sostituita dalla verticale, La distanza della fonte di cibo è indicata dal tempo che l'ape impiega a percorrere il tratto rettilineo: più tempo impiega, più il cibo è lontano. Come accade nella danza dell'addome le altre api possono ricostruire la danza anche al buio perché si avvicinano alla danzatrice e la seguono. Per valutare la durata del movimento lineare sono aiutate da un segnale acustico: la danzatrice, non appena inizio il tratto rettilineo, comincia a emettere un caratteristico ronzio, che interrompe subito tornando alla traiettoria circolare. Anche la danza dell'addome ci sono l'assaggio e la trasmissione di odori tipici dei fiori del posto e l'intensità dello scodinzolamento reca informazioni sulla ricchezza della fonte .




Da Psicologia Oggi di Adele Bianchi e Parisio Di Giovanni

lunedì 29 giugno 2015

( Foto) Lo stadio Tiziano Ferro a Firenze






 
 
Tiziano ferro finalmente approda a Firenze, lo stadio è gremito e dopo tante ore di attesa i suoi fan possono sentire tutti i suoi successi.
Il concerto oltre ad essere uno spettacolo musica è un vero e proprio spettacolo di coreografie ed effetti scenici, dal volo del cantante di Latina al passaggio attraverso una passerella sulle teste dei propri spettatori.
 
 

















 
 
23 giugno 2015

domenica 28 giugno 2015

Caravaggio: un genio "incolto"


Caravaggio è senza dubbio un caso limite dell'arte italiana ed europea. Pur essendo il più dotato dei realisti nella storia della pittura, la sua arte rispecchia il concetto filosofico platonico secondo il quale la verità delle cose viene intesa come coscienza del mondo. Per Caravaggio tutto è degno di diventare il soggetto di un'opera d'arte; ciò che non viene ritenuto adeguato per i suoi committenti, per lui ha la necessaria dignità alla rappresentazione. La cosa che più lo interessa è distaccarsi dal concetto cattolico della realizzazione artistica, contrapponendo ad esso un'arte fatta di carne e sangue, libera dal falso decoro del manierismo.
Non lascia allievi, poiché non ha una bottega in cui erudirli sul mestiere della pittura; lascia una folta schiera di emuli e di plagiari, una scuola fatta anche di grandi artisti come Orazio Gentileschi, Battistello Caracciolo, il Guercino degli anni Dieci, Bartolomeo Manfredi. Eppure il suo nome resta a lungo nel novero delle eccezioni da riscoprire. Neppure il secolo del realismo, l'Ottocento, trova le condizioni per la giusta rivalutazione del genio lombardo, Ciò è determinato da un certo nazionalismo che in Italia ha preferito attingere al patrimonio sterminato e piuttosto ingombrante del Rinascimento.
E' necessario tener presente, però, che la moderna concezione del binomio arte-vita, come metro di valutazione del talento, nel Seicento non esisteva. Caravaggio riesce a fondere nella bellezza dell'arte ciascuna espressione della natura, e lo fa in nome della sua spregiudicata passione di un uomo, seguendo il suo istinto e non una scuola di pensiero. Ritrae i suoi modelli dal vero, che siano cesti ricolmi di frutta o giovani di locanda esuberanti e ambigui, o perfino se stesso, con un tocco di concreto realismo. lontano dal concetto della messinscena, della simulazione. Non a caso lo sprazzo di luce abbagliante che ne tiene desta la sorte non dura oltre gli anni Trenta del Seicento. Il secolo del Barocco non predilige una certa brutale e sprezzante visione del sensibile. Caravaggio va oltre quella visione, la trapassa, fissa nella concretezza delle cose la vita e la morte, svela come questi due elementi siano contemporaneamente presenti nell'esperienza di un corpo tangibile. In un cesto di frutta vi sono foglie rigogliose e foglie appassite. Ogni corpo è dominato da questi due principi opposti e complementari. Analogamente, nello sguardo trasognato, ottuso, che accenna ad un'ironia appena espressa dal brillio del cipiglio del Bacchino, che sa inequivocabilmente di vita, ma pur sempre di una vivezza disturbante, è contenuta già la causa mortale che ne adombra l'ineluttabile caducità, espressa nel colorito malsano della pelle, nella cagionevolezza pronunciata dalle labbra bianchicce.
Questa visione caravaggesca dell'essere nasce da un tragica consapevolezza, dalla solitudine storica a cui è condannato l'universo sensibile della natura e dei corpi. "Un uomo incolto ma un genio" come lo ha icasticamente definito Alois Riegi, che fu tra i massimi esponenti della Scuola di Vienna. Un genio sopraffatto dalla scienza della verità dell'essere, condannato a cogliere la morte nell'abbaglio più fulgente della vita. Tuttavia, un "uomo incolto" può essere dotato di un acume libero. La libertà intellettuale di Caravaggio è sbrigliata, e certe intuizioni filosofiche, morali, teoriche, hanno modo di sostanziarsi unicamente per via del raziocinio raffinatissimo che ne governa l'occhia e la mano.

BIOGRAFIA




La biografia lo vuole nato a Caravaggio paese tra Milano e Bergamo. Ma più verosimilmente è Milano a dargli i natali nel 1571. Suo padre è Fermo Merisi, "magister" della casa del marchese Francesco Sforza, sua madre Lucia Aratori. La sua formazione di pittore interamente lombarda.
Entra a bottega presso Simone Peterzano, un  tardo manierista devoto ad un naturalismo formale molto diffuso al suo tempo. Presso il Peterzano ha modo di acquisire la tradizione del realismo lombardo che si era andato diffondendo nella prima metà del Cinquecento per opera di artisti come Savoldo e Moretto. Ma più di questi lo condiziona la pittura di Tiziano, di cui probabilmente studia l'incoronazione di spine.
Nel 1590 muore la madre due anni dopo si trasferisce a Roma. Le difficoltà iniziali che incontra, al suo arrivo sono connesse a palesi problemi di sussistenza e al disagio dovuto al suo carettere che mal si accorda con l'ambiente intellettuale vagamente sprezzante della Città Eterna.
Dopo essere passato per le bottegghe di Lorenza Sicialiano e di Antiveduto Gramatica, entra a servizio presso Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino, un famoso pittore tardomanierista che delega il giovane Caravaggio - la cui attitudine all'indagine naturalistica deve apparire già preminente - " a dipinger fiori e frutti". Nella bottega del Cavalier d'Arpino il Merisi si specializza nella pittura di natura morte, genere nel quale l'artista lombardo si dismostra, fin da subito, innovativo. L'attività dei suoi primi anni romani è concentrata soprattutto, nella pittura di scene di genere, la cui cruda immediatezza appare oggi assai lontana dalla necessità di storicizzare il clima culturale che lo attornia. In quegli anni Caravaggio è già un isolato. Viene ricoverato in ospedale per un attacco di malaria di cui lascia testimonianza nel celebre autoritratto del "Bacchino malato" della Galleria Borghese.
Trascorre anni rissosi di vita squallida e di ristrettezze, finchè verso il 1595 l'incontro con il cardinale Francesco Del Monte, che gli accorda il suo favore, ne segna l'elevazione al rango di artista di risalto nel panorama romano. Da quel momento in poi la pittura di Caravaggio, superati gli angusti confini dell'anonimato, diventa un mezzo di dirompente carica innovatrice che sconvolge gli uomini di cultura, gli artisti e il clero.
Le commissioni aumentano di pari passo con gli scandali di cui l'artista si rende protagonista. Le innumerevoli risse, i ferimenti, i duelli, gli scontri, disseminano la sua esistenza. Il clima secentesco dello spagnolismo, dei "bravi", non fa altro che accentuare quella che appare essere, già di per sé, un'indole di natura difficilmente dominabile.
Questa sorta di ricarico emozionale - tangibile anche nelle sue opere - che è per Caravaggio l'esercizio della violenza, culmina nel fatale assassinio, forse preteritenzionale, di Ranuccio Tomassoni da Terni. Le cronache ci dicono che l'alterco divampa a seguito di una partita al gioco della racchetta, disputata ai campi del Muro Torto, sotto Villa Medici, durante la quale Tomassoni vince a Caravaggio la somma di dieci scudi.
L'omicidio lo costringe ad allontanarsi da Roma per sfuggire alle ripercussioni giuridiche del reato. E' il maggio del 1606. Inizialmente l'artista ripara presso i possessi del principe Marzio Colonna situati fra Palestrina, Paliano e Zagarolo. Successivamente si spinge fino a Napoli, sotto la sovranità di un altro governo, mentre i suoi protettori a Roma si muovono per ottenere un'amnistia.
A Napoli rimane per circa un anno, lasciando un segno indelebile nella vita culturale di quella che è, agli inizi del Seicento, una ricca città popolata di aristocratici, borghesi e cortigiani. Poi si imbarca per l'isola di Malta, mosso dal desiderio di ottenere la croce di cavaliere dell'ordine, dove giunge verso la fine del 1607. L'ordine di Malta lo accoglie come cavaliere di Grazia per meriti artistici nel luglio del 1608.
Nell'ottobre dello stesso anno, una commissione criminale riunitasi su istanza di un procuratore cui forse non erano sconosciute le autentiche ragioni della fuga dell'artista di Roma, spinge Caravaggio a fuggire nuovamente. Sbarca in Sicilia, a Siracusa, da cui si muove nei primi mesi del 1609 per raggiungere prima Messina e poi Palermo.
Il Caravaggio del soggiorno siciliano è un uomo sconvolto, ansioso, prostrato. L'attesa del condono papale lo rende inquieto, fin quasi pazzo. L'isola gli appare come uno scenario inadeguato alla sua disperata grandezza. Roma ritorna prepotente in ogni suo pensiero.
E' ancora Napoli ad accoglierlo durante la sua marcia di riavvicinamento a Roma. Nel frattempo un intervento del cardinale Gonzaga riapre la possibilità di una grazia papale che sembra ormai prossima. Ma la malasorte gli riserva ancora un duro schianto il pittore viene assalito e ferito gravemente da emissari maltesi sulla porta della locanda tedesca del Cerriglio in cui alloggia. Le sue condizioni appaiono ai contemporanei tanto gravi da alimentare una voce secondo cui il maestro è morto.
Durante la lunga convalescenza egli trova la forza di dipingere ancora alcuni capolavori come la "Salomè con la testa del Battista" e il tragico  "Davide con la testa di Golia", nel quale adombra, nei tratti del volto decapitato del gigante ucciso, un suo doloro autoritratto. Intorno alla metà del luglio del 1610 si imbarca di nuovo su una feluca dirigendosi verso le coste laziali.
Deve fermarsi a Porto Ercole, presidio spagnolo ai confini dello Stato Pontificio. Caravaggio è subito arrestato per uno scambio di persona. Quando viene liberato la feluca è ripartita. Il Baglione riferisce di quelle ultime ore durante le quali "più la feluca non ritrovava, si che postosi in furia, come disperato andava per quella spiaggia sotto la sferza del sol leone a vedere se poteva in mare ravvisare il vascello che le sue robe portava":

venerdì 19 giugno 2015

Perchè non digeriamo il latte?

Il 70% degli adulti al mondo risulta intollerante al latte.
Il nostro organismo è davvero adibito alla scomposizione del lattosio ?

La digestione del latte ha sede nell'intestino, dove il lattosio viene scomposto in due zuccheri più semplici che l'organismo può trasformare in energia.
La scomposizione è dovuta all'azione della proteina lattasi.
Questa proteina è prodotta direttamente dal nostro intestino, in età natale è presente in grande quantità va scemando poi nel corso della crescita e diminuire talmente tanto da rendere impossibile all'intestino l'assimilazione del lattosio.

La digeribilità del latte da parte dell'uomo è strettamente correlata all'evoluzione della sua struttura societaria, dopo che si formarono società sedentarie basate sull'allevamento pian piano aumento nell'organismo umano la presenza di lattasi. Questo spiega perché popolazioni che allevano ancora il bestiame come quelle del sud est asiatico non hanno problemi di intolleranza.

giovedì 11 giugno 2015

I funerali di Pino

Il funerale di Pino, 20 dicembre 1969, io lo ricordo come una giornata di sconfitta. Era passata una settimana dalla strage di piazza Fontana, Valpreda era stato arrestato cinque giorni prima, e li c'erano solo mille o duemila persone, pochissimi compagni, il movimento aveva avuto paura.

A me in quel momento sembrava moltissima gente, anzi ero esterrefatta. Agli altri poteva sembrare poca, a me sembrava moltissima. Noi conoscevamo tanta gente, ma uno non pensa che possano venire al funerale, pensi che sia una cosa solo tua, devi affrontarla da sola. Sgridavo mia mamma perché aveva cominciato a piangere. Lo sforzo di non lasciar trapelare i sentimenti. Per non dargli la soddisfazione. E' tanto più facile dimostrare i sentimenti.
Ero tutta tesa in questo sforzo, questa fatica. Vedevo poco attorno. Poi sono venuti a farsi riconoscere i compagni di lavoro di Pino, erano li a titolo personale, non in rappresentanza delle Ferrovie. Ho visto i ragazzi ai quali avevo battuto le tesi. I parenti, che cono una cosa di questo genere pensi che magari non vengano. Tanti vicini di casa di via Preneste. Ricordo anche due donne del 114 di viale Monza dove stavo da ragazza, erano li che piangevano. I compagni di Pino, uno con una bella faccia piena di umanità, che sembrava uscito da una vecchia stampa, col cravattone nero e la bandiera, era venuto da Canosa di Puglia apposta.
Era tantissima gente se pensi alla paura di quei giorni, al linciaggio. All'Università solo in ventitré avevano firmato quella lettera in cui dicevano di non credere al suicidio di Pino. E tutto il quartiere era circondato da polizia e carabinieri. Polizia dappertutto. E' la prima cosa che ho visto. Tanto per dirti com'ero: mi è sembrato strano, "che cosa sono qui a fare?".

Poi c'è stato una specie una specie di blocco stradale, quasi nessuno è potuto arrivare fino al cimitero, a Musocco c'era una cinquantina di persone al massimo.

Io mi ricordo di me stessa davanti alla fossa. Ho consegnato la bandiera nera da mettere sulla bara, credo che l'avesse portata Augusta, la giornalaia dell'edicola di via Orefici. Ma ricordo soprattutto questa atmosfera pervasa di tragedia che aveva preso tutti e che di solito non c'è nei cimiteri.
E poi veramente non è che vedessi molto, facevo le cose che dovevano essere fatte, come se mi fissassi solo su quell'obiettivo, senza vedere nient'altro. Mi avevano dato un tranquillante e a momenti svengo davvero perché non sono tipo da medicine, mi era rimasto sullo stomaco.

Ricordo il pianto isolato di una donna, un singhiozzo. Più che altro ricordo dei suoni e l'atmosfera, il cielo cupo. Non riesco più ad andare ai funerali e sentire la terra che cade sulla bara.



Da "Una storia quasi soltanto mia" di Licia Pinelli e Piero Scaramucci

venerdì 22 maggio 2015

Le nuove dighe sul corso del Mekong






Il fiume  Mekong nasce in Tibet e corre per più di 2.600 miglia attraverso la Cina la  Thailandia, il Laos, la Cambogia e il Vietnam prima di gettarsi nel Mar Cinese Meridionale. E 'il fiume più lungo in Asia Sud-Orientale, il settimo più lungo dell'Asia, e il più importante per le persone che vivono lungo questa costa. Cambogiani e laotiani vivono del prodotto di questo fiume. Alla griglia, fritto o bollito; avvolto in foglie di palma; guarnita con uova di formica; o semplicemente mescolato con riso in una ciotola di legno, gli oltre 500 specie conosciute di Mekong pesce hanno dato sostentamento a milioni di persone.

Nel 1960 gli Stati Uniti hanno sostenuto la costruzione di una serie di dighe idroelettriche, nella speranza di sviluppare l'economia della regione e contrastare l'ascesa del comunismo in Vietnam.

Oggi  solo un terzo dei cambogiani e poco più di due terzi dei laotiani hanno accesso all'elettricità. Secondo un analisi dell'Agenzia Internazionale la domanda di energia del paese tra 20 anni aumenterà fino al 80%.

 Il potenziale idroelettrico del Mekong è più allettante che mai dato che è un energia che non produce carbonio e non influisce quindi sul riscaldamento del pianeta.


La costruzione di dighe sul Mekong inferiore è supervisionato, nominalmente, dal fiume Mekong Commissione (MRC). Finanziato da agenzie internazionali per lo sviluppo e da i quattro paesi-membri  Vietnam, Cambogia, Thailandia e Laos.

Nel 2010 una valutazione ambientale patrocinata dal MRC ha chiesto una moratoria di dieci anni per la costruzione di dighe principali, citando i danni ambientali della possibile costruzione Alla fine del 2012, dopo anni di smentite, i funzionari laotiani  hanno ammesso che la costruzione della diga di Xayaburi , su un tratto remoto del Mekong in Laos settentrionale, era in corso.

La diga Xayaburi sarà alta più di cento piedi e lunga un mezzo miglio.
I residenti di un piccolo villaggio attraversato dal fiume  si stanno preparando a trasferirsi in un villaggio di nuova costruzione a monte e sperano di poter continuare la loro attività di pescatori.

martedì 21 aprile 2015

"Cave canem" origini del rapporto uomo/cane


Il cane quasi sicuramente fu il primo animale ad essere addomesticato dall'uomo. L'addomesticamento può essere definito plurimo in quanto nella società umana ricopri' e ricopre più mansioni.
La prima testimonianza del rapporto uomo/cane è attestato intorno ai 15 mila anni fa, lo possiamo affermare grazie a dei resti di canidi in caverne frequentate da tribù di cacciatori e raccoglitori.




   Siamo invece sicuri della posizione che i cani ebbero nelle grandi civiltà antiche.
Gli antichi egizi attribuirono una valenza magica ad alcuni animali, essendo loro legati alla loro sfera religiosa.
Alcuni cani oltre ad essere stati mummificati per essere la rappresentazione del dio Anubi, erano stati scelti come animali da compagnia eterni per il loro padrone.
Gli antichi greci, al contrario delle altre civiltà diedero molta importanza alle qualità morali e caratteriali del cane. Platone li nella "Repubblica" lodando la loro fedeltà e indicandoli come esempio che i servi dovrebbero seguire.
Il cane è quindi sempre stato immerso nel mondo degli uomini, oggi però cosi come sono cambiati i rapporti sociali tra gli esseri umani cosi sono cambiati quelli tra l'uomo e il suo amico a quattro zampe.
Sicuramente sono diminuiti i cani da pascolo e aumentati quelli da compagnia, possiamo però sempre notare in molte abitazioni la scritta "attenti al cane" e quindi la concezione di animale da guardia.
La locuzione "attenti al cane" deriva direttamente dal mondo romano e quindi dal latino "cave canem". La scritta risale ad un mosaico presente in un abitazione di Pompei che raffigura un cane a catena come monito per chiunque volesse profanare l'abitazione.

martedì 31 marzo 2015

Come si sviluppa l'arte ?






La popolazione in continua crescita ha contribuito l'avanzamento culturale per millenni. Cosa succederà quando la popolazione inizierà a diminuire ? il passato ci offre degli indizi.

Le popolazioni in crescita sono associate con il progresso sia da un punto di vista tecnologico che culturale, quindi la tendenza inversa è da associare ad un impoverimento culturale. Un esempio lampante viene dalla Tasmania, quest' isola venne colonizzata 34 000 anni fa da una popolazione con alte conoscenze nel campo della produzione di utensili. Nel 18° sec. la popolazione della Tasmania, usava una tecnologia semplice come la caccia con le rocce. Nel 2004 l'antropologo Joseph Henrich ha utilizzato un modello matematico per spiegare la relazione tra crescita culturale e la demografia dell'area geografica. Nel 18°secolo la popolazione dell'isola è diminuita notevolmente tanto da non aver più i mezzi ne per tramandare tutti i saperi posseduti ne per progredire. Gli scienziati hanno sempre sostenuto la tesi per cui ci fosse una relazione tra la dimensione e densità della popolazione e sviluppo umano.Questa tesi della scienza può essere un monito per coloro che ancora non sono convinti di lasciare spazio ai giovani affinchè apprendano e aiutino lo sviluppo umano.






mercoledì 4 marzo 2015

Età della pietra: l'arte rupestre nasconde la prima forma d'animazione


Sandrine Ceurstemont, editor, New Scientist TV   trad, di Matteo Montieri




Pensi che i primi film siano stati proiettati in un cinema ? Secondo un'analisi di arte rupestre, i nostri antenati potrebbero aver inventato il concetto di "animazione" mentre disegnavano sulle pareti.


In questo video, il regista e ricercatore dall'università di Tolosa Le Mirail, rivela che molti schizzi animali se sovrapposti danno vita a fotogrammi animati. Un cavallo dipinto sulle grotte di Lascaux in Francia, per esempio, rappresenta diverse posizioni del movimento in tante altre versioni dipinte. In questo video,  Azema estrae le singole immagini e le visualizza in successione, dimostrando come si compone l'animazione.

In altri esempi, il movimento è rappresentato giustapponendo disegni di un corpo in movimento. Azéma crea un'altra sequenza in cui selezionando dei fotogrammi di movimento produce l'animazione della corsa dell'animale.

Oltre alla serie di dipinti su diversi livelli, gli antichi  potrebbero aver utilizzato giochi di luce per evocare il movimento sulle pareti delle caverne. Sono stati trovati anche dei dischi incisi di osso che rappresentavano il galoppo del cavallo, legati con una stringa ricordano il nostro flipbooks. 



domenica 8 febbraio 2015

1826 la prima fotografia "Vista dalla finestra a Le Gras "

Niépce scienziato ed inventore francese fu colui che diede luce alla prima fotografia.

E' il 1826 è la prima foto viene scattata in Francia.

Attraverso degli studi chimici e dopo aver realizzato una camera oscura, spennello uno strato di vernice fotosensibile su una lamina che fece poi riposare nella sua camera oscura.

Dopo però averla fatta riposare, lo scienziato espose la lamina al sole che così si annerì.



L'immagine ritrae la visuale dalla casa di campagna dello scienziato.

venerdì 6 febbraio 2015

1519 arriva il cioccolato


Come tutti sappiamo il 1492, è la data che i libri di scuola classificano come "scoperta" dell'America.
Essa comportò l'immettersi nel mercato europeo di nuovi prodotti.
Il cioccolato è un cibo che deriva dalla lavorazione dei semi dell'albero di cacao.



I Maya consumavano il cacao sciolto in acqua calda, bevanda che utilizzavano solo per cerimonie importanti.



Il primo a portare il cacao in Europa fu Cristoforo Colombo in dono ai sovrani di Spagna che avevano finanziato la sua spedizione. Colombo però descrisse i semi di cacao come mandorle usate dagli indigeni come monete, fu solo Cortes, che si calò di più nella cultura indigena, a capire l'importanza e l'uso del cacao. Lo spedì a Cortes decantandolo come una bevanda miracolosa capace di far camminare un giorno intero senza sosta colui che l'avrebbe bevuta.