venerdì 15 gennaio 2016

Il primo giorno di miniera ad Aberowen

Da "La caduta dei giganti" di Ken Follett



Passarono davanti alla scuola dove avevano studiato fino al giorno precedente: un edificio vittoriano con le finestre a sesto acuto come una chiesa, costruito dalla famiglia Fitzherbert, come il preside non si stancava mai di ripetere. Era sempre il conte a nominare gli insegnanti e a decidere il programma. Sulle pareti spiccavano le raffigurazioni di eroiche vittorie militari; il tema di fondo, infatti, era la grandezza britannica.
Nel corso dell'ultimo anno di lezioni Billy e Tom avevano appreso i rudimenti dell'industria mineraria, mentre le ragazze imparavano a cucire e a cucinare. Billy aveva scoperto con sorpresa che il terreno sotto i suoi piedi era formato da diversi strati, come una pila di fette di pane. Una vena di carbone - espressione che sentiva da quando era nato senza comprenderla appieno- costituiva uno di quegli strati. Gli avevano anche insegnato che il carbone è formato da foglie morte e altri vegetali che si sono accumulati nel corso di migliaia di anni e poi sono stati compressi dal peso della terra sovrastante. Secondo Tommy, il cui padre era ateo, ciò dimostrava che la Bibbia non diceva la verità, mentre il papà di Billy sosteneva che quella era solo un'interpretazione fra tante.
La scuola era vuota a quell'ora, e il cortile della ricreazione deserto. Billy si sentiva orgoglioso di essersela lasciata alle spalle, anche se una parte di lui avrebbe preferito tornarci anziché scendere in miniera.
Mentre si avvicinavano alla torre di estrazione, le strade cominciarono a riempirsi di minatori, ciascuno con la sua gavetta e la borraccia di tè. Erano tutti vestiti con abiti vecchi, che si sarebbero tolti non appena raggiunto il posto di lavoro. Alcune miniere erano fredde, ma quella di Aberowen era caldissima, per cui gli uomini lavoravano con gli scarponi e i soli indumenti intimi, oppure in calzoncini di lino grezze chiamati "braghe". Tutti portavano sempre un berretto imbottito perché era facile battere la testa contro il soffitto delle gallerie, piuttosto basso.
La zona intorno alla bocca del pozzo era disseminata di altre costruzioni, che sembravano li per caso: il magazzino delle lampade, l'ufficio della miniera, la fucina, i depositi. Tra gli edifici serpeggiavano i binari del treno. Nella discarica si vedevano carrelli rotti, vecchi pali spaccati, sacchi per mangime e cumuli di macchinari arrugginiti e caduti in disuso, il tutto ricoperto da uno strato di polvere di carbone...
A scuola aveva imparato tante cose sulle lampade dei minatori. Tra i pericoli in miniera c'era il metano, il gas infiammabile rilasciato dalle vene di carbone. Veniva chiamato "grisù" ed era la causa di tutte le esplosioni sotterranee. Notoriamente nelle miniere del Galles c'era molto gas. La lampada era progettata in modo ingegnoso per evitare che la fiamma incendiasse il grisù. In pratica la fiamma cambiava forma in presenza del gas, diventando più lunga, e questo costituiva un avvertimento perché il grisù è inodore.
Se si spegneva, il minatore non poteva riaccenderla da solo. Nel sottosuolo era infatti proibito avere fiammiferi, e la lampada era chiusa in modo da scoraggiare la violazione della regola.
Bisognava portarla a una stazione di accensione, di solito alla base del pozzo, e ciò che a volte comportava una camminata di un paio di chilometri, ma ne valeva la pena per evitare il rischio di un esplosione sotterranea.
A scuola era stato detto ai ragazzi che quel tipo di lampada dimostrava quanto i padroni della miniera avessero a cuore la sicurezza dei loro dipendenti, ma il papà aveva commentato: " come se per i capi non fosse un vantaggio evitare le esplosioni, l'interruzione del lavoro e i danni alle gallerie".