sabato 25 luglio 2015

VI CONSIGLIO DI LEGGERE UN LIBRO SBAGLIATO: CRUM


                                                                             

                                                                                                                                                                                                                                                                                  

                  "Quando tutti gli addii 
                    sono stati pronunciati
                    voglio essere colui che se ne va
                    e sarà bello essere andati."                                                                                           
                                                                                        
                                                                    


                   "Il futuro era una nave tutta d'oro che noi                                                                                                     pregavamo ci portasse via lontano"




Ci si potrebbe chiedere in che modo un libro possa essere definito sbagliato.
Se significasse trovare pagine e pagine di ridicolissimi refusi, Crum sarebbe un libro sbagliato.
Se significasse essere accusato di diffamazione e contenuti osceni, Crum sarebbe un libro sbagliato.
Se significasse offrire una vista impietosa sulla miseria umana e concedere al pubblico la possibilità di affezionarvisi, Crum sarebbe senza dubbio un libro sbagliato.
Assodato questo, non mi rimane che raccontarvi come sia possibile che reperire un libro semisconosciuto, di una piccola casa editrice e dalle parole ortograficamente sospette sia una scelta giusta.

Potrei iniziare dicendovi che Crum è un libro scritto per tutti coloro che da sempre hanno saputo di non poter restare. E forse non vi è cosa più certa.
Quindi poco importa che il protagonista sia un orfano di nome Jesse Stone, che viva in una minuscola cittadina del West Virginia (Crum, appunto) e che ami passeggiare nei boschi o commettere azioni ai limiti del buonsenso.
Quello che invece conta è che, non appena si chiudono gli occhi, ci si ritrova per un attimo stesi in un pagliaio accanto a lui.
L'odore secco di sudore e sporcizia, l'idea di non sapere dove andare, ma di non poter rimanere, la consapevolezza di doversi buttare nel vuoto pur di essere qualcosa in più del mero, ineluttabile ripetersi di un destino vuoto.
Poiché sa che ogni uomo merita il privilegio della possibilità e l'onere della responsabilità nella propria vita, il lettore desidera intensamente che Jesse scappi.
Ma contemporaneamente qualcosa di straordinario accade.
Lee Maynard non si accontenta di mostrarci l'ennesima parabola eroica di un ragazzo dalle umili origini. Lee Maynard ci fa innamorare di quello che l'eroe sta per perdere.
In un intenso, accattivante e onesto omaggio a ciò che non può essere trattenuto, Crum mostra come sia spontaneo passare un'intera giovinezza a biasimare il luogo in cui si abita, ma quanto sia altrettanto difficile abbandonarlo.

Cosa potrebbe mai esserci di conveniente in un luogo ricco di figure che hanno rinunciato alla bellezza e alla felicità? Perché aver paura di non riuscire a lasciare quella lunga sfilata di anime spezzate e abbrutite?

Jesse non ha motivi per restare, eppure prima di andarsene trova Crum incredibilmente bella.
Così scappa in modo frettoloso, indecoroso, vigliacco.
Come Orfeo sa di non potersi voltare, perché la morte che corrode l'anima di Crum potrebbe incatenare anche lui. E perché qualcosa, qualsiasi cosa potrebbe trattenerlo.
I volti miserabili degli adulti, la noia, i boschi che hanno tenuto compagnia alla sua solitudine, gli zii, il seno di Yvonne, le mani sempre nei pantaloni di Benny, il fiume, la capanna in cui progettava la fuga, gli amici di una vita. Qualsiasi cosa.

E' il canto delle sirene, prima di ogni addio.
Ma è questo il segreto del libro: lo sentirete anche voi.



"Tutto quello che sapevo era che avevo appena tagliato un cordone ombelicale e avevo usato un coltello arrugginito per farlo."




                                         Di  Gloria Basanisi

giovedì 23 luglio 2015

Bande di delfini per il mare

trad. da BBC Nature.

Male dolphins in Shark Bay, Australia
 

I maschi dei delfini tursiopi, stringono alleanze simili a bande per sorvegliare le femmine da altri gruppi.

Un team ha studiato i delfini nella Shark Bay, in Australia occidentale, hanno osservato che gli animali che vagano per centinaia di chilometri formano diversi gruppi.

I ricercatori hanno osservato i delfini  per un periodo di cinque anni, registrando i loro movimenti.

Il dottor Richard Connor è un ricercatore degli Stati Uniti che ha preso parte a questo studio, ha iniziato i suoi studi dei delfini Shark Bay nei primi anni 1980.

Questo ultimo studio rivela come i delfini vivono in una società aperta. Connor ha infatti riconosciuto diversi livelli di alleanza nei gruppi sociali di questi mammiferi.

Quando i gruppi di delfini nei loro viaggi incontrano gruppi stranieri devono decidere come comunicare con loro. Per Questo formano tre diversi tipi di alleanza.

Il primo è formato da  coppie o terzetti che lavorano insieme per catturare e radunare le femmine fertili. Questo tipo di alleanza può durare per più di un mese.

In una "alleanza di secondo ordine", gli animali formano "squadre" tra quattro e quattordici maschi che attaccano contro altri gruppi per prendere le loro femmine.

In un terzo livello, i delfini hanno "relazioni amichevoli" tra  squadre più grandi; si uniscono le forze per formare gruppi più numerosi,  per difendere insieme le loro femmine da altri gruppi aggressivi.

Shark Bay dolphins

Il dottor Connor ha spiegato a BBC Sport che gli animali hanno bisogno di essere "incredibilmente intelligenti" per riuscire a capire se i gruppi che incontrano possono essere alleati o nemici, e stipulare alleanze o difendersi da essi.

sabato 18 luglio 2015

Come sudano i cani

La lingua che penzola giù dalla sua bocca, con delle goccioline che pian piano toccano il terreno sotto di lui, il respiro affannato che viene da un angolo all'ombra, è lo spettacolo che ci regalano i nostri pelosi ogni estate.

I cani come altri animali soffrono eccessivamente il caldo:








I cani dopo uno sforzo fisico, avendo consumato ossigeno per portare a termine un azione, risentono di un aumento della temperatura corporea. Il respirare affannosamente fa si che il cane recuperi ossigeno e che il cuore si regolarizzi.





Mentre negli esseri umani la regolazione della temperatura corporea è compito della sudorazione mentre nei cani è limitata poiché avviene solo nei cuscinetti plantari. Dalle zampe i cani disperdono il vapore cosi da ristabilire la temperatura.




Disegni di Serena Bonadonna

giovedì 16 luglio 2015

L'aria di Cuzco dopo la conquista

Da "Inés dell'anima mia" di Isabel Allende



Girai per le strade di Cuzco strabiliata, scrutando la gente. Quei visi cuprei non sorridevano mai e non mi guardavano negli occhi. Cercavo di immaginarmi le loro vite prima del nostro arrivo, quando per quelle strade passeggiavano intere famiglie con i loro vistosi abiti colorati, sacerdoti con pettorine d'oro, il sovrano carico di gioielli, trasportato su una portantina d'oro decorata con piume di uccelli favolosi, accompagnato dai musicisti, dai boriosi guerrieri e dall'interminabile seguito di spose  e vergini del Sole.Quella complessa cultura sopravviveva quasi intatta, nonostante l'invasione; era solo meno visibile. Sul trono, tenuto come prigioniero di lusso da Francisco Pizarro, c'era un sovrano che non vidi mai perchè non ebbi accesso alla sua corte reclusa. Per le strade si aggirava il popolo, numeroso e silenzioso. Per ogni barbuto europeo si contavano centinaia di indigeni glabri. Gli spagnoli, alteri e rumorosi, vivevano dentro un'altra dimensione, come se i nativi fossero invisibili, semplici ombre nelle anguste stradine di pietra. Gli indigeni cedevano il passo agli stranieri che li avevano sconfitti, ma mantenevano i loro usi, le credenze e le gerarchie, nella speranza di potersi liberare dai barbuti con il tempo e la pazienza. Non potevano concepire l'idea che costoro sarebbero rimasti per sempre.



A quell'epoca si era placata la violenza fratricida che aveva diviso gli spagnoli ai tempi di Diego de Almagro. A Cuzco la vita ricominciava a un ritmo lento, perchè molto era il rancore accumulato e gli animi si scaldavano con facilità. I soldati erano ancora irrequieti a causa della spietata guerra civile, il paese era impoverito e disordinato, gli indios erano costretti a lavori forzati. Il nostro imperatore Carlo V aveva ordinato attraverso i documenti reali di trattare i nativi con rispetto, di evangelizzarli e civilizzarli con l'esempio di una vita corretta e con opere buone, ma la realtà era ben diversa. L'imperatore che non aveva mai calpestato il suolo del Nuovo Mondo, dettava le sue assennate leggi nei bui saloni di palazzi molto antichi, a migliaia di leghe di distanza dai paesi che governava, e non teneva presente l'insaziabile avidità dell'uomo. Pochissimi spagnoli rispettavano tali ordinanze e meno che mai il marchese governatore, Francisco Pizarro. Persino il più misero spagnolo aveva indios al suo servizio e i ricchi encomenderos, i proprietari fondiari, ne avevano a centinaia perchè nulla valeva possedere terre e miniere senza braccia da lavoro. Gli indios obbedivano sotto la frusta dei sorveglianti, anche se alcuni preferivano dare una morte pietosa ai propri famigliari e poi suicidarsi.


giovedì 9 luglio 2015

Il fotografo dell'oceano: Brian Skerry

Brian Skerry è un fotoreporter specializzato in fauna marina e ambienti subacquei. Dal 1998 è stato fotografo a per il National Geographic .


Brian è riconosciuto in tutto il mondo per il suo senso estetico così come per la sua rilevanza giornalistica . Le sue immagini  raccontano storie che non solo celebrano il mistero e la bellezza del mare, ma anche aiutano a portare l'attenzione sul gran numero di problemi che mettono a rischio i nostri oceani e dei suoi abitanti.

Unica è la capacità di Brian di affrontare le grandi diversità dei luoghi in cui si trova. Nello stesso anno può passare in ambienti di estremo contrasto da barriere coralline tropicali a immersioni sotto il ghiaccio polare. Per scattare le sue foto ha vissuto mesi in mare viaggiando su qualsiasi mezzo da motoslitte a canoe compreso un dirigibile. Negli ultimi trent'anni ha trascorso più di 10.000 ore sott'acqua.

Per il National Geographic ha raccontato molte storie, tra cui la lotta della foca della Groelandia, le ultime barriere coralline incontaminate del pianeta, la situazioni di tartarughe, squali delle Bahamas...


Brian ha lavorato  in riviste come  Sports Illustrated, US News and World Report, BBC Wildlife, GEO, Smithsonian, Playboy, Esquire, Audubon . E' anche l'autore / fotografo di cinque libri. La sua ultima monografia Ocean Soul, è stato rilasciato alla fine del 2011 e continua a ricevere consensi in tutto il mondo.


Avvicinamento ad una balena nelle isole Auckland.











Galleria completa sul sito ufficiale di Brian Skerry

giovedì 2 luglio 2015

Il primo studio sulla comunicazione animale

1- Darwin

Il primo studio sistematico sulla comunicazione animale risale a Charles Darwin (1809-1882). Nel 1859 Darwin aveva pubblicato "L'origine della specie", l'opera rivoluzionaria in cui esponeva la teoria biologica dell'evoluzione. A poco più di dieci anni di distanza, nel 1872 usci "l'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali". Mettendo assieme osservazioni personali, racconti di guardiani di zoo, resoconti di esploratori e missionari, Darwin portava avanti un'analisi accurata di come comunicano le emozioni gli animali e gli uomini. L'impostazione di fondo era già quella dell'etologia, che sarebbe nata solo nella prima metà del'900: l'espressione delle emozioni veniva inquadrata nell'evoluzione, di ciascun segnale si cercava di capire il significato funzionale nell'adattamento all'ambiente.
Lo studio di Darwin è pioneristico. Suggerisce però l'idea che gli animali comunichino essenzialmente per esprimere emozioni, cioè per manifestare all'esterno stati interiori di rabbia, paura, dolore, gioia, sorpresa, ecc. In realtà le ricerche successive hanno mostrato che la comunicazione animale è molto complessa ed ha un'incredibile varietà di contenuti e di modalità.

2-Le api e le fonti di cibo




Il primo poderoso lavoro sperimentale sulla comunicazione animale si devo allo zoologo austriaco Karl von Frisch.
Una colonia di api domestiche è formata da alcune decine di migliaia di individui, la maggior parte dei quali sono operaie che passano il tempo a raccogliere nettare e polline tutt'intorno all'alveare su una superficie di circa 100 chilometri quadrati. Queste api setacciano il territorio con grande efficienza, tanto che in un anno riescono a raccogliere, tra polline e nettare, una cinquantina di chilogrammi di materiale nutritizio. Le api difficilmente potrebbero raggiungere un risultato simile procedendo a caso. E' stato calcolato che solo per trasportare il materiale raccolto occorrono oltre quattro milioni di viaggi di circa quattro chilometri ciascuno. Se ai viaggi fruttuosi dovessero aggiungersene troppi a vuoto, l'impresa risulterebbe impossibile. Le api riescono perché hanno un sistema di perlustrazione del territorio che rende più efficiente la raccolta di cibo: alcune operaie - dette bottinatrici- vanno in esplorazione a individuare fonti di cibo e, tornate all'alveare, reclutano altre api per la raccolta. Per reclutare altre la bottinatrice in qualche modo deve metterle al corrente dell'avvistamento. Ma come comunica? E di che cosa informa esattamente le altre ?
Per chiarire come e che cosa comunicano le bottinatrici von Frisch condusse una serie di esperimenti nei quali collocava a una certa distanza dell'alveare ciotole con soluzioni zuccherine, quando arrivava una bottinatrice con una macchiolina di colore e poi la seguiva e poi la seguiva per andare a vedere che cosa accadeva nell'alveare al suo ritorno. Ha scoperto cosi che le api utilizzano due sistemi di comunicazione.
Se la fonte è vicina, la bottinatrice esegue la danza circolare: gira ripetutamente in cerchio ora in senso orario, ora in senso antiorario. Il tipico movimento circolare indica che il cibo è vicino e l'intensità della danza segnala quanto è ricca la fonte. Nell'alveare è buio e le altre api non vedono la danza, ma seguendo da vicino la bottinatrice possono ricostruire il percorso che fa e avvertire dalle vibrazioni il vigore con cui danza. La bottinatrice offre anche alle compagne un assaggio, dal quale si può riconoscere il tipo di cibo, e ha addosso l'odore dei fiori dove ha trovato il cibo, cosa che può aiutare a rintracciare il posto. Siccome la fonte è vicina, non occorrono indicazioni più precise circa la sua collocazione: uscite dall'alveare, le api reclutate la raggiungono senza difficoltà. Le più esperte, regolandosi in base all'assaggio e all'odore dei fiori, vanno dritte verso il posto avvistato. Le meno esperte si accodano alle più esperte.
Quando la fonte è lontana, l'ape bottinatrice ricorre alla danza dell'addome, che fornisce informazioni dettagliate sulla direzione da prendere e sulla distanza da percorrere. Percorrendo il tratto rettilineo indica la direzione. L'ape scodinzola vistosamente. Quando l'ape danza fuori dell'alveare prende come riferimento la direzione del sole. Quando, come di regola, la danza si svolge su una parete dentro l'alveare, la linea del sole è sostituita dalla verticale, La distanza della fonte di cibo è indicata dal tempo che l'ape impiega a percorrere il tratto rettilineo: più tempo impiega, più il cibo è lontano. Come accade nella danza dell'addome le altre api possono ricostruire la danza anche al buio perché si avvicinano alla danzatrice e la seguono. Per valutare la durata del movimento lineare sono aiutate da un segnale acustico: la danzatrice, non appena inizio il tratto rettilineo, comincia a emettere un caratteristico ronzio, che interrompe subito tornando alla traiettoria circolare. Anche la danza dell'addome ci sono l'assaggio e la trasmissione di odori tipici dei fiori del posto e l'intensità dello scodinzolamento reca informazioni sulla ricchezza della fonte .




Da Psicologia Oggi di Adele Bianchi e Parisio Di Giovanni