giovedì 16 luglio 2015

L'aria di Cuzco dopo la conquista

Da "Inés dell'anima mia" di Isabel Allende



Girai per le strade di Cuzco strabiliata, scrutando la gente. Quei visi cuprei non sorridevano mai e non mi guardavano negli occhi. Cercavo di immaginarmi le loro vite prima del nostro arrivo, quando per quelle strade passeggiavano intere famiglie con i loro vistosi abiti colorati, sacerdoti con pettorine d'oro, il sovrano carico di gioielli, trasportato su una portantina d'oro decorata con piume di uccelli favolosi, accompagnato dai musicisti, dai boriosi guerrieri e dall'interminabile seguito di spose  e vergini del Sole.Quella complessa cultura sopravviveva quasi intatta, nonostante l'invasione; era solo meno visibile. Sul trono, tenuto come prigioniero di lusso da Francisco Pizarro, c'era un sovrano che non vidi mai perchè non ebbi accesso alla sua corte reclusa. Per le strade si aggirava il popolo, numeroso e silenzioso. Per ogni barbuto europeo si contavano centinaia di indigeni glabri. Gli spagnoli, alteri e rumorosi, vivevano dentro un'altra dimensione, come se i nativi fossero invisibili, semplici ombre nelle anguste stradine di pietra. Gli indigeni cedevano il passo agli stranieri che li avevano sconfitti, ma mantenevano i loro usi, le credenze e le gerarchie, nella speranza di potersi liberare dai barbuti con il tempo e la pazienza. Non potevano concepire l'idea che costoro sarebbero rimasti per sempre.



A quell'epoca si era placata la violenza fratricida che aveva diviso gli spagnoli ai tempi di Diego de Almagro. A Cuzco la vita ricominciava a un ritmo lento, perchè molto era il rancore accumulato e gli animi si scaldavano con facilità. I soldati erano ancora irrequieti a causa della spietata guerra civile, il paese era impoverito e disordinato, gli indios erano costretti a lavori forzati. Il nostro imperatore Carlo V aveva ordinato attraverso i documenti reali di trattare i nativi con rispetto, di evangelizzarli e civilizzarli con l'esempio di una vita corretta e con opere buone, ma la realtà era ben diversa. L'imperatore che non aveva mai calpestato il suolo del Nuovo Mondo, dettava le sue assennate leggi nei bui saloni di palazzi molto antichi, a migliaia di leghe di distanza dai paesi che governava, e non teneva presente l'insaziabile avidità dell'uomo. Pochissimi spagnoli rispettavano tali ordinanze e meno che mai il marchese governatore, Francisco Pizarro. Persino il più misero spagnolo aveva indios al suo servizio e i ricchi encomenderos, i proprietari fondiari, ne avevano a centinaia perchè nulla valeva possedere terre e miniere senza braccia da lavoro. Gli indios obbedivano sotto la frusta dei sorveglianti, anche se alcuni preferivano dare una morte pietosa ai propri famigliari e poi suicidarsi.


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