giovedì 23 ottobre 2014

Chi è Malala, premio Nobel per la pace?

"Nella valle dello Swat, si erge impetuoso il vento della speranza."


E' la voce di Malala Yousafzai, la studentessa e attivista pakistana, quella che, come un virus prepotente, si aggira tra le reti e il vociare delle persone.
Qualcuno tira un profondo sospiro di filantropia, qualcun altro se ne interessa meno.
Tutti, più o meno palesemente, sono fieri di lei.
E' giovane, temeraria, audace.
Un esempio, dicono.
Un cinico, però, al bar pronostica che non sarà in televisione per più di due settimane; delle ragazze politicamente  impegnate, invece, distribuiscono volantini con il suo volto: il pronostico li dà per spacciati in tre minuti.
Arrivano poi i tweet con discorsi di livello medio-basso sull'empatia, seguiti prevedibilmente da critiche verso l'inerzia e l'apatia europea riguardo ai mali e alle sofferenze del mondo.
Ci si chiede se qualche ragazzo nella propria stanza abbia chiuso gli occhi e immaginato la camera di Malala. I pavimenti sudici della sua scuola. E le mani violente dei talebani.
Talvolta accade; poi gli occhi si riaprono, la realtà quotidiana ritorna.
E' meglio così?

Qualcuno si scusa, dicendo che in fondo non ci è possibile immaginare, poichè siamo nati altrove e la realtà di Malala non ci spetta; altri invece scrivono articoli su almeno tre blog diversi, per sentirsi partecipi, per dimostrarlo con il tempo, la punteggiatura, la retorica e l'emicrania.


Cosa è davvero successo?
Possiamo sentirne il dramma?


Giogio Gaber credeva che la libertà coincidesse con la partecipazione.
Noi possiamo ancora partecipare?

Malala, di certo, non merita di essere il nostro spazio libero, tra un pensiero e un altro.
Malala merita la nostra partecipazione.

Non si tratta di una figura messianica, non parliamo del solito volto-meteora che ci ricorda i diritti dell'uomo.
E' l'ennesimo tassello di una composita, quotidiana lotta, nella quale tutti, nessuno escluso, rischiamo di soccombere ogni giorno.


Di questo ne siamo consapevoli?

La domanda che riecheggia è: siamo davvero sicuri che questo Nobel per la pace ci stia interrogando sulla nostra personalissima guerra esistenziale ?




Gloria Basanisi

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